APRI VUOTO

Matteo Giuntini si muove essenzialmente nel territorio della pittura, ma lo fa in maniera dirompente e viscerale. La sua è un’arte panteistica che celebra la natura e la sua forza irrazionale. Parte di questa natura è l’uomo: non centro di un mondo al suo servizio, ma soggetto agente e pensante nel vortice caotico delle cose naturali. Le connessioni che il pittore livornese ci propone sono degli inganni per spiazzarci: le parole ci portano lontano dai significati, i rapporti di causa-effetto saltano sotto i nostri occhi. Siamo nel regno dell’assurdo e paradossalmente pienamente a nostro agio, dopo lo spiazzamento iniziale. La difficoltà di stare al mondo, comune a ogni essere umano, esplode sulla tela di Giuntini attraverso volti grotteschi e segni primordiali che ricordano le pitture rupestri. Elementi vegetali che sembrano uscire da erbari medievali irrompono nella rappresentazione: non sono immagini consolatorie o decorative, ma frammenti di natura che vanno a fuoco come la nostra anima, mentre profili animaleschi emergono dallo sfondo. È un’arte a suo modo mistica, fatta di un animismo contemporaneo che si posa su ogni aspetto della realtà per divorarlo, assimilarlo e infine restituirlo sulla tela in forma di pittura.

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